Sono ormai ben pochi i luoghi in Italia in cui è ancora possibile ammirare come nello sferisterio comunale di Mondolfo il “gioco classico degli italiani” (D. Burckhardt). Eppure, vi fu un periodo nella storia del Belpaese, in cui, parlare di gioco del pallone, era un immediato riferirsi non al football (il calcio), come oggi avviene, ma ad un altro sport con la palla: il pallone al bracciale. Il fiorire degli studi umanistici nel Quattrocento, aveva portato alla riscoperta degli esercizi ginnici in uso presso i greci ed i romani e, fra i vari giochi con la palla, furono preferiti quelli in cui tale oggetto veniva afferrato o colpito con la mano, anziché col piede, generalmente considerato parte non nobile del corpo. Così, in tutte le corti rinascimentali – ne parla Baldassarre Castiglione anche ne Il Cortegiano scritto nella vicina Urbino – si giocava al pallone col bracciale, e pure a Mondolfo le più antiche memorie sui giochi con la palla risalgono proprio al Cinquecento. Gli Statuti del Comune di quel secolo contengono numerose disposizioni su tali giochi; anche due lettere di Ercole d’Este dirette da Ferrara al mondolfese Benedetto Giraldi nel 1522, hanno ad oggetto una la richiesta di dodici palloni, e l’altra il ringraziamento per il dono ricevuto. Il gioco ebbe poi una continua diffusione, e fra Ottocento ed i primi del Novecento, conobbe una sua stagione d’oro. Leopardi dedicò a un giocatore marchigiano (Carlo Didimi) una sua celebre canzone A un vincitore nel pallone, a Macerata fu innalzato il più imponente sferisterio d’Italia, la popolazione vi si appassionò e lo seguì con grande entusiasmo, suscitando rivalità, scommesse e ispirando a De Amicis il romanzo Gli Azzurri e i Rossi. Poi, verso la metà del Novecento, la crisi; l’invadenza del calcio, l’elevato costo dei bracciali, le difficoltà del gioco per il quale necessitano doti non comuni di precisione, tempestività e coraggio, la chiusura di molti sferisteri specie nelle grandi città, sacrificati alle esigenze dei piani regolatori, hanno fatto sì che questo sport, il gioco del pallone per antonomasia, sia oggi praticato in poche città, fra le quali Mondolfo. Il campo da gioco (in genere novanta per sedici metri) sorge a Mondolfo lungo le mura di levante, presso Porta S. Maria, ed è dedicato a uno dei campioni di tutti i tempi di questa disciplina a cui la città diede i natali: Antonio Agostinelli. Comunemente detto dai mondolfesi gioco del pallone, è indicato col termine classico di “sferisterio”. La costruzione del campo a ridosso delle mura non è casuale, poiché il muro – ulteriormente rialzato nel 1874 per consentire un migliore svolgimento della partita – scalpellati i beccatelli, funge da parete di appoggio lungo un lato del campo, potendovi il pallone rimbalzare prima di essere colpito dal giocatore. La sua collocazione a levante, poi, consente di giocare con un’arena ombreggiata durante le ore pomeridiane. Il bracciale è l’attrezzo con cui si colpisce il pallone nelle azioni di gioco. Del peso di circa due chilogrammi e realizzato in legno di noce, è formato da un manicotto o ceppo cilindrico cavo all’interno, dove è intagliata l’impugnatura. Sulle superfici esterne sono infisse delle punte di legno a cima arrotondata, una sorta di cunei detti – in gergo – “bischeri”. Il gioco è praticato da tre atleti per squadra (battitore, spalla e terzino) e consiste nel colpire la palla col bracciale al volo, dopo il primo rimbalzo, o “di scozzo”, cioè dopo che ha urtato contro il muro, e ricacciarla nel campo avversario.