Non lontano dal varco di Porta S. Maria, appena fuori dalle mura del Castello di Mondolfo, sorge il Complesso monumentale di S. Agostino, dall’ampio convento e con la maestosa chiesa di S. Maria – che, appunto, alla Porta dà il nome – ma da tutti meglio conosciuta semplicemente come Sant’Agostino. La chiesa doveva già esistere sul finire del Duecento quando, al declinare del secolo, vi giunsero gli Agostiniani.Facciata della chiesa di Sant’Agostino Probabilmente provenivano dalla loro comunità eremitica presente nella vicina Piaggiolino, in territorio di Trecastelli. Non è da escludere che sia stato lo stesso comune di Mondolfo a mettere a disposizione degli agostiniani il luogo sacro, tant’è che questa rimase sempre la chiesa di rappresentanza della comunità mondolfese. Del resto, l’ubicazione della chiesa – appena fuori dalle mura del Castello e non costretta dagli angusti spazi della città murata – ben si addiceva con lo spirito di un ordine mendicante desideroso di realizzare un edificio con un’aula capace di contenere l’intera popolazione del luogo, con annessi chiostri e orti: si aveva pure la possibilità di vivere in stretto contatto con gli abitanti del contado oltre a offrire migliore accoglienza a viandanti e pellegrini. Non per nulla nella Chiesa – il cui convento nel corso del Trecento aveva già costituito un primo nucleo fondiario con appezzamenti di terreno sia a Mondolfo che San Costanzo – certamente nel 1427 è attestata la presenza di una cappella dedicata a S. Antonio Abate, protettore appunto dei pellegrini. La munifica committenza privata, che caratterizzerà sempre S. Agostino unitamente ai numerosi lasciti testamentari fatti al convento, denotano il forte attaccamento della Comunità mondolfese verso questo luogo, e di qui va certo spiegato l’interessamento del Comune di Mondolfo nel 1466 verso la ricostruzione della chiesa, danneggiata dalle varie guerre del periodo, e i cui lavori erano stati affidati ad Antonio di Pietro da Vercelli, abitante in Mondolfo, capomastro già impiegato da Sigismondo Pandolfo Malatesta per la ricostruzione di Senigallia. Il convento gode un periodo di grande splendore, segnato dalla celebrazione nei suoi locali dei capitoli provinciali degli agostiniani negli anni 1490 e 1530 e dalla decisione di ampliare l’edificio. La licenza di Francesco Maria I Della Rovere è del 1528 ma ben più tardi prenderanno avvio i lavori.Complesso Monumentale di Sant’Agostino, chiostro Nel 1586 mastro Domenico del fu Giacomo da Como fu incaricato di condurre gli interventi, che iniziano il 2 giugno di quell’anno per terminare nel 1593 quando Mons. Angelo Peruzzi, Vescovo di Sarsina e nativo di Mondolfo, consacrava la chiesa dedicandola alla Madonna del Soccorso. Il Comune offrì centomila mattoni per l’ampliamento del tempio, e famiglie più in vista della nobiltà cittadina facevano a gara per adornare i propri altari presenti in S. Agostino con opere realizzate dai più illustri maestri del loro periodo. Si apriva così una stagione edilizia che durerà sino al finire del Settecento, con ampliamenti, restauri e abbellimenti.L’avvento del nuovo secolo, però, diede avvio al declino della grandezza del convento, a causa delle ripetute soppressioni perpetrate dai diversi governi succedutisi allo Stato pontificio e con la chiusura definitiva avvenuta nel 1861. L’attiguo spazio conventuale – a cui si accede attraverso due ingressi, quello Maggiore e quello Napoleonico, il primo risalente all’impianto originale del monumento, e il secondo voluto all’epoca del Buonaparte per assicurare una diversa destinazione degli spazi, ormai soppresso il convento – è denotato da due ampi cortili, il seicentesco chiostro, sui cui due lati sono visibili lunette affrescate con Storie di S. Agostino (XVII sec.) raffiguranti scene della vita del Santo ispirate alle illustrazioni del fiammingo Schelte Adamsz Bolswert (1586-1659), e il cortile del lavoro, presso il quale avevano sede i magazzini. Oggi numerosi spazi del complesso conventuale sono adibiti a funzioni culturali, trovandovi pure sede il Salone Aurora ed il Salone S. Agostino (quest’ultimo ricavato nell’antico refettorio), oltreché il Museo Civico ed altri spazi per convegni, mostre ed incontri. L a Chiesa Monumentale di S. Agostino, parte integrante dell’omonimo complesso conventuale, si presenta attualmente nelle sue forme tardo cinquecentesche con rimaneggiamenti del Settecento. Si tratta di un bellissimo esempio di architettura di provincia dove, la imponente fabbrica in laterizio rosso ha quale unico ornamento degli archetti pensili a sesto acuto – dal sapore squisitamente prerinascimentale – che orlano il cornicione esterno su tutti e quattro i lati realizzati lontano dagli influssi coevi dei grandi centri d’arte. Si accede alla chiesa attraverso tre eleganti portali finemente scolpiti in arenaria; subito si è colpiti dalla maestosità dell’unica aula, con volta a botte, che dà ragione dell’imponenza esterna dell’edificio. Lungo le pareti dodici altari finemente scolpiti, intagliati, dorati, impreziositi nelle lesene da resti di pitture murali, scandiscono la ritmicità della navata. Nella controfacciata una maestosa cantoria e mostra d’organo. Chiesa di Sant’Agostino, coro ligneo Iniziando la visita da sinistra, incontriamo subito l’Adorazione dei Pastori, olio su tela del XVI secolo. Copia da Tiziano, questo Presepio in notturna mostra una grande sapienza nell’effetto luministico della scena ed una grande accuratezza nei particolari architettonici presenti nel quadro. Il secondo altare reca S. Carlo Borromeo opera del fiammingo Ernest De Scaechis, datata 1615, dove speciale attenzione va senz’altro prestata ai particolari anatomici, quali le mani, che denotano le eccellenti qualità artistiche dell’autore. Al di sopra della tela, incastonato tra gli intagli dell’altare, è da notare un piccolo quadro con volto della Madonna Addolorata, cara alla devozione popolare, della prima metà del XVII secolo e ascrivibile alla bottega di C. Ridolfi. Se il terzo altare reca la statua policroma di un Crocifisso, di gusto giambolognesco, superato il pulpito dorato, opera imponente di fine intaglio con al centro l’immagine scolpita del vescovo Agostino d’Ippona, si giunge al quarto altare. Vi si trova la Crocifissione, olio su tela di Giuliano Presutti (1531), commissionato dal comune di Mondolfo e in origine collocato nella chiesa della Comunità, opera dove notevole è la forza plastica delle immagini e l’intenso cromatismo delle stesse. Al quinto altare sinistro, la pala raffigurante la Vergine con i Santi Lorenzo e Stefano, (XVII sec.) attribuita a Girolamo Cialdieri, dove di sicuro interesse è il particolare degli angeli musicanti. Nell’ultimo altare sinistro, la Madonna della Cintura, con S. Monica e S. Agostino. L’opera (XVII sec.), attribuita alla maturità di Giovanni Francesco Guerrieri, nascondeva un tempo un retrostante altare nel quale era collocata la lipsoteca della chiesa costituita da reliquiari intagliati in diverse forme e dorati di ottima finitura seicentesca. A lato, la Carità di S. Tommaso da Villanova, tela di Claudio Ridolfi (1570-1644) e sotto a questa, entro la teca, una Pietà policroma in arenaria, di scuola tedesca, ascrivibile agli inizi del XV secolo. Il presbiterio, con la mole dell’altare maggiore lavorato in marmi policromi, introduce all’abside della chiesa. Lo spazio è interamente occupato dal grande coro settecentesco, in radica di noce, dalla ricca lavorazione, con al centro il badalone. Sulle pareti, a destra e sinistra due grandi tele (sec. XVIII) del fanese Sebastiano Ceccarini. Verso il campanile, I Santi dell’Ordine Agostiniano, verso la sacrestia Le Sante dell’Ordine Agostiniano, dove la presenza di figure umane quali il giovane dal busto torto, o la mamma che allatta, danno un che di naturale al clima mistico della scena.Quarto altare a destra, C. Ridolfi, Madonna col Bambino e i Santi Giovanni Battista ed Evangelista, sec. XVII Sul fondo, la Madonna del Soccorso, tela attribuita al pesarese Pietro Tedeschi. Qui, in una composizione in cui si risente l’ambiente romano del Settecento ove operò l’artista, la Madonna, col bastone in mano va in soccorso di una madre scacciando il demonio che tenta di rapirle il figlio. Tornati nella navata, si incontra subito il Bancone del Magistrato. Realizzato fra il 1595-‘96 dai maestri marangoni locali Camillo Carloni e Bernardino Moschetta su commissione del comune di Mondolfo, dove vi sedevano le magistrature cittadine durante le funzioni ufficiali. Sulla cimasa è scolpito lo stemma del comune di Mondolfo. Al sesto altare destro, ecco le quindici formelle su tela con i Misteri del Rosario, arte marchigiana del XVII secolo, che oggi attorniano un dipinto dei primi del Cinquecento raffigurante la Madonna del Buon Consiglio. Il quinto altare destro, dentro una ricca cornice ad intaglio, ospita la tela raffigurante il Martirio dei Santi Simone e Giuda, opera di Giovanni Francesco Guerrieri (1589- 1657), dove la narrazione della drammatica scena è articolata su diversi piani fra loro strettamente uniti. Il quarto altare destro ospita la tela rappresentante una Madonna con Bambino e i Santi Giovanni Battista e Giovanni Evangelista, del veneto Claudio Ridolfi (1570-1644) e risalente al periodo della maturità dell’artista, come l’altra tela, del medesimo Autore, conservata nel terzo altare destro e con raffigurati i Santi Antonio Abate e Paolo Eremita, in quello che era l’altare della nobile Famiglia Giraldi della Rovere, il cui stemma si vede intagliato alla base della colonna sinistra. La cappella di S. Nicola, ospita entro la nicchia la grande statua lignea del Santo (sec. XVIII) a cui il luogo è intitolato e, sulle pareti, a sinistra la tela del Miracolo di S. Nicola (sec. XVIII), a destra, la Vergine col Bambino e i santi Nicola da Tolentino e Antonio da Padova, opera del bolognese Alessandro Tiarini (1577-1668). Se il secondo altare reca una statua di S. Giuseppe, il primo altare destro entrando conserva due capolavori. In alto, una lunetta raffigurante Madonna con Bambino e due angeli adoranti, riconducibile a Iohannes Hispanus (sec. XVI), parte di un più grande quadro andato disperso e, sotto, la grande pala raffigurante la Madonna della Gatta, opera della Bottega di Federico Barocci e ascrivibile alle tele che uscirono dallo studio urbinate dell’artista fra il 1588 ed il 1593. Prima di lasciare l’edificio, merita senz’altro una visita la sacrestia, dalle ampie dimensioni e interamente ricoperta sui quattro lati da mobili seicenteschi in noce, scanditi con paraste dai capitelli ionici.
Disegno ricostruttivo del Complesso Monumentale di Sant’Agostino Guarda
Museo Civico, P. Mei, A. Galli, macchina oraria, 1858Articolato in diverse sale, e in più piani, nell’ala settentrionale del chiostro di Sant’Agostino, il Museo Civico di Mondolfo ripercorre la storia del territorio. Nelle teche sono contenuti manufatti che scandiscono l’avanzare del tempo, come i ritrovamenti preistorici presso la Fonte Grande, i reperti lapidei e ceramici provenienti dal Castello, le vestigia della stagione risorgimentale con la giubba del garibaldino mondolfese Gaetano Alegi o i segni della locale tradizione artigiana. L’attenzione è senz’altro attratta dall’antica macchina oraria. Realizzata per il pubblico orologio della Torre Civica (dove rimase sino agli anni settanta del secolo scorso) da Pietro Mei ed Angelo Galli nel 1858, scandisce il tempo secondo le ore gallicane, come gli attuali orologi. Finemente lavorata, dotata di meccanismo per il suono delle ore, dei quarti e di altre ricorrenze, è composta da tre treni, con il piccolo quadrante di servizio a uso del moderatore del pubblico orologio. La ricarica avviene manualmente, attraverso manovella che issa appositi pesi. Nel 1926 Edoardo Marconi aggiungeva la lancetta per i minuti. Salendo lo scalone elicoidale con, ai piedi, reperto di epoca romana, si visita dapprima la Memoria della Fisarmonica, che evoca – attraverso pezzi originali – una bottega artigiana di costruttori locali, e quindi la Collezione Comunale “Natale Patrizi” che nelle sue tele si firma Agrà, e la cui opera è un canto pittorico delle belle terre della Valcesano.
Lo sapevate che… le belle campane di Mondolfo
«A Mondolfo le belle campane»: così ricorda un proverbio popolare che inorgoglisce gli abitanti tutti della città a balcone sul mare. Grandi o piccole, numerose o isolate, le campane caratterizzano tutti i campanili di Mondolfo, non esclusa la Torre civica presso il Palazzo del comune. Maestoso e solenne il concerto nel seicentesco campanile di S. Agostino, dominato dal suono del campanone chiamato “Cristo Re” (risalente al 1782) e attorniato da altre quattro grandi campane. Nella sua proverbiale bellezza, questo concerto lo si sente suonare a completo solo il mezzogiorno della domenica e nelle principali solennità dell’anno liturgico, lasciando invece ad alcune campane gli altri segnali canonici nell’arco della giornata. Possente il suono di “San Gervasio” (anno 1833, con il nome derivante dal più antico patrono di Mondolfo) il campanone nella merlata Torre civica che non solo segna il trascorrere delle ore – affiancato dai rintocchi della campanella – ma che con la sua distesa dovrebbe annunciare i consigli comunali. Inconfondibili, poi, i bronzi degli altri campanili, i cui rintocchi guidano i fedeli verso le sacre funzioni nelle diverse chiese del Castello e del territorio. Particolarmente simpatico e da non perdere il suono del carillon di campane che, durante la giornata, si può ascoltare anche dal Belvedere del Castello. Viene dal pinnacolo dell’antico ufficio postale di Mondolfo, in corso della Libertà, ad evocare quanto accadeva un tempo: la partenza e l’arrivo dei dispacci.